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Nel paese della tempesta selvaggia

Nel paese della tempesta selvaggia

di Simone di Biasio Cos’è che ci muove al pianto in questa “Tempesta”? Quale incantesimo ci tiene cogli occhi spalancati sprofondati sulla poltrona a seguire gli sviluppi di nient’altro che un esercizio di magia, di immaginazione? La ragazza con il cappotto rosso ha appena assistito alla messa in scena dell’opera shakespeariana al Teatro Eliseo di Roma: prima di alzarsi per lasciare la platea, riunisce il viso dentro le sue mani, si china verso le gambe, i suoi ricci sipario alla commozione («Spalanca il frangiato / sipario dei tuoi occhi»[1], Prospero a Miranda). Quello che non si comprende vale più di quanto si pensa di aver capito. Viene il dubbio che, sulla scia della fiction prosperiana, non sia finzione anche la credenza che il fratello del duca di Milano ne usurpi il trono, se non sia solo una prosperiana congettura figlia del ritiro del vero duca dal regno di corte al regno di carta dei suoi libri, del suo sapere, della sua fantasia. Miranda è letteralmente, letterariamente rapita dal racconto di suo padre, padrelingua, padre cantastorie: lei stessa non sa se ciò cui Prospero accenna sia vero, verosimile, falso, immaginato, pensato, creduto, naufragato, approdato. Ma lo com-prende.

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